Aprile 1946: nasce la corsa di Roma
di Giorgio Bicocchi
Un tuffo nel passato, la prima edizione del Liberazione premiò Gustavo Guglielmetti. Aneddoti di un ciclismo irripetibile e di una vita presa di petto. La retata dopo l'8 settembre, l'arresto, i mesi di prigionia. Guglielmetti, pistard di qualità. Rieccolo a Roma, in cantina, sotto al suo negozio, a sognare una bici e un futuro diverso. Il ritorno alle gare, i primi soldi, una città che torna a vivere e si affeziona agli eroi della bicicletta. Le riunioni in pista, anche Coppi ricominciò da Roma. L'urlo al Liberazione, l'intervista alla radio, gli applausi di cinquantamila tifosi, assiepati ai lati del circuito. Aneddoti vecchi oltre sessant'anni eppure sensazioni di oggi. Guglielmetti, il primo Liberazione della storia, una Roma sparita: ecco come, nell'aprile del '46, andarono le cose...
La chiacchierata con Gustavo Guglielmetti risale all'inverno del 1995. Andammo a trovarlo nel negozio di articoli per la casa tra Largo Magna Grecia e via Veio, all'inizio di via Appia, a Roma. Guglielmetti, all'epoca, aveva settant'anni, una faccia gentile e una grande voglia di raccontare il Liberazione. Non eccellemmo in originalità, all'epoca, inseguendo il primo vincitore del Liberazione. La corsa di Caracalla festeggiava il cinquantenario, Guglielmetti si sedette su una sedia e cominciò a raccontare la prima edizione - era il 1946 - della corsa di Roma. Ricordi nitidi e struggenti, come solo può essere la corsa che un ciclista si è messo in tasca, autografandola. Guglielmetti oggi non c'è più e ci è sembrato giusto, soprattutto per i più giovani, per coloro che il 25 aprile transiteranno per Caracalla, riannodare il filo di quella chiacchierata.
C'erano cinquantamila persona, il giorno della prima edizione del Liberzione. La guerra, per fortuna, era un ricordo: aveva fiaccato gli animi ma non sconfitto la fantasia popolare. Guglielmetti cominciò a raccontare, scandagliando la memoria. Allontanò in fretta la polvere di mezzo secolo, gli occhi gli si inumidirono, narrando di un ciclismo e di una vita dimenticata. I corridori erano i nuovi eroi della giovane Italia, coloro ai quali affidare idealmente i messaggi per il nuovo mondo. Guglielmetti correva ad ingaggio, all'epoca: raccontò, ad esempio, di una corsa a Cassino, di un camion ansimante che procedeva sulla via Appia sull'allora fettuccia di Terracina. Assieme a lui c'erano Bartali, Cinelli, Bini, Bizzi. Arrivarono a Cassino e si schierarono ai nastri di quel circuito improvvisato. Partirono in cento, arrivarono solo in cinque perché le strade erano ancora tappezzate di migliaia di schegge e le forature zavorravano le speranze di tanti.
Ai lati del primo Liberazione della storia Guglielmetti era seguito dal meccanico Augusto Lori. Lui aveva cominciato a correre a diciassette anni, Coppi era già famoso, essendo diventato campione d'Italia, avendo già demolito il primato dell'ora di Archimbaud. Guglielmetti ricordò di essere stato un buon amico di Fausto che, dopo la prigionia in Africa, tornò in sella proprio a Roma, legandosi al marchio Nulli e fermandosi spesso nella cantina di Gustavo, a via Veio.
Lui, Guglielmetti, venne pure arrestato in una retata dopo la resta dell'8 settembre. Un breve soggiorno a Nettuno, lo scalo adibito a smistare i prigionieri. Un piroscafo, una prigionia di sei mesi in Dalmazia, a Spalato. Anche due suoi fratelli vennero catturati e deportati: uno spedito in Africa, un altro a Macomer, in Sardegna.
Aveva ventitré anni, Guglielmetti, quando nel '46 sbancò il Liberazione, vincendo la prima edizione. Il successo aveva già bussato alle sue spalle: a Milano, nel '39, si era laureato campione italiano di velocità. Proprio il passato e le furbizie da pistard gli consentirono di mettere il proprio sigillo sulla prima edizione del Liberazione.
Guglielmetti raccontò come il Liberazione, allora, era etichettato come la corsa di Roma. I giornali dell'epoca avevano puntualmente inviato a Caracalla i loro migliori reporter. C'era un fiume di gente, assiepata ai lati della strada, perché tornare a gareggiare in una qualsiasi disciplina sportiva costituiva indirettamente un inno alla vita dopo le ferite di una guerra lunga, ingiusta e ovviamente dolorosa. Guglielmetti - con un pizzico di civetteria - narrò di una vittoria senza neppure soffrire un po'. Era nato pistard e trionfò con la procedura tipica del velocista di razza: mise il naso fuori dal gruppo di battistrada a duecentocinquanta metri dall'arrivo. Alimentò le cadenze, creò il vuoto tra sé e gli avversari. Vinse con una macchina abbondante di distacco, riproponendo il lessico dell'epoca. Qualcuno, dopo aver tagliato il traguardo, lo portò quasi di peso dentro un furgone blu. Mario De Angelis, destinato a diventare uno dei grandi cantori di ciclismo, fu il primo a intervistarlo. Per quella vittoria Guglielmetti intascò 180 lire, forse quattrocento euro dei giorni nostri. Con i guadagni abbellì la sua vita: acquistò due negozi, sempre nei pressi di via Appia, a Roma.
Corse e vinse pure al velodromo Appio: l'organizzatore di quelle kermesse che radunavano migliaia di appassionati era Mario Beni. Cachet interessanti, per l'epoca: cento-duecento lire per ogni vittoria, anche se la concorrenza era spietata. Una vita faticosa ma luccicante, quella che Guglielmetti amava ricordare con l'immancabile, vecchio, cappello calzato sulla fronte. La mattina disputava gare su strada, la sera si cimentava in pista. Finché ha potuto, ogni 25 aprile, come in un rituale da rispettare col destino e con la vita, si è presentato sui vialoni di Caracalla. Ammirava, stupefatto, le mirabilie tecniche delle bici dei corridori di oggi: i cambi leggerissimi, i manubri che sembrano il profilo di un airone, i tubolari che fendono silenziosi l'aria. Il suo Liberazione era vecchio di cinquant'anni, ma lui, per nulla al mondo, avrebbe consentito a nessuno di chiudere il cerchio della propria vita.